Cos’è la Resilienza?

Psicologo Psicologa Psicoterapeuta Roma Monteverde Portuense Valentina VillaniIl termine “resilienza” deriva dalla scienza dei materiali e indica la capacità di un metallo di resistere alle forze a cui viene sottoposto, conservando la propria struttura. E’ un termine che si può ritrovare in diversi campi applicativi, dall’ingegneria all’informatica, dalla biologia alla psicologia.

La resilienza psicologica è la capacità dell’uomo di resistere alle avversità della vita, di far fronte agli eventi stressanti o traumatici riorganizzando in maniera positiva la propria esistenza attraverso le proprie risorse. Le persone resilienti sono quelle che, in circostanze avverse riescono, talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare in maniera efficace gli ostacoli incontrati, quelle in grado di considerare i fallimenti inevitabili tappe verso il successo.

Etimologicamente il termine resilienza deriva dal latino “resalio”, che in una delle sue accezioni originali indicava l’azione di risalire sulla barca capovolta dalle onde in mare. E’ evidente il collegamento con l’attuale utilizzo del termine in campo psicologico: in entrambi i casi viene indicato l’atteggiamento di andare avanti senza arrendersi nonostante le difficoltà.

Le prime pubblicazioni nell’ambito della psicologia risalgono al periodo compreso tra il 1939 e il 1945, quando due psicologi scolastici, Werner e Smith, iniziarono a seguire dei ragazzi socialmente svantaggiati, a rischio di sviluppare disturbi psicopatologici in età adulta, e si accorsero che alcuni di loro, grazie a caratteristiche del tutto personali, riuscivano a sfuggire a un destino avverso che sembrava già tracciato.

A differenza della forza di volontà che consente di perseguire i propri obiettivi con costanza e determinazione, la resilienza è quella caratteristica che permette di raggiungere i propri obiettivi nonostante le continue sconfitte e gli inevitabili contrattempi della vita.

I sopravvissuti dei campi di concentramento, i reduci da anni di prigionie ingiuste, i pazienti che escono dal tunnel di gravi malattie combattendo non solo con la malattia ma anche con l’ostilità e i pregiudizi sociali, coloro che riescono a superare le prove drammatiche della vita più o meno traumatiche, sono riusciti, in condizioni di impotenza, a ristrutturare le esperienze negative rendendo plausibili le interpretazioni positive.

La resilienza è un tratto della personalità in cui convergono tre diverse dimensioni: una dimensione biologica, che sottolinea il ruolo del patrimonio genetico per cui alcuni individui hanno maggiori energie di altri; una dimensione psicologica che mette in evidenza l’importanza delle relazioni che si formano durante l’infanzia che consentono all’individuo di far fronte alle avversità (attaccamento, comunicazione, modelli di riferimento); una dimensione sociologica che evidenzia l’influenza del gruppo, della cultura, degli apprendimenti e della spiritualità.

Nel corso della vita la resilienza si sviluppa assumendo modalità diverse a seconda delle circostanze, dei singoli individui, degli apprendimenti o dei modelli di riferimento.

Tra i fattori alla base della resilienza si possono ritrovare: un buon attaccamento nella prima infanzia, poter contare su persone amiche e fidate, essere flessibili e adattabili, sapersi assumere le responsabilità, avere senso dell’umorismo, immaginazione, interessi, saper guardare gli eventi in prospettiva, essere buoni comunicatori, avere un progetto di vita, aiutare gli altri, saper prendere l’iniziativa, non rimanere passivi o, peggio ancora, non adagiarsi nel ruolo di vittima. In sostanza, porsi in una condizione proattiva è il fattore che distingue la resilienza dalla semplice resistenza.

Si può insegnare la resilienza ai propri figli?

Come già detto, l’acquisizione di questa capacità dipende dall’intreccio di diversi fattori, ma un genitore che voglia stimolarne o facilitarne lo sviluppo potrebbe tenere presenti alcuni suggerimenti come l’utilizzo della fantasia quale strumento indispensabile per trovare soluzioni ad esempio attraverso il gioco creativo o il racconto; rafforzare l’autostima dei figli incoraggiandoli a fare delle attività come praticare uno sport, suonare uno strumento, ma anche svolgere piccoli lavori domestici in cui si possano sentire bravi e utili; valorizzare il proprio figlio evitando sia scarse attese nei suoi confronti che aspettative eccessive.

Il bambino deve imparare a dare una direzione alle sue emozioni e in questo atteggiamento un ruolo chiave è svolto dall’adulto. Il bambino che reagisce a un’esperienza dolorosa o frustrante con reazioni impulsive come lanciare oggetti o urlare rimarrà allarmato, talvolta disperato e perciò incapace di organizzare i propri sentimenti. Se, al contrario, il genitore svolge la funzione di “base sicura” in cui trovare rifugio, il bambino sarà in grado di lasciarsi calmare e rassicurare.

Un’esemplare dimostrazione di resilienza la offre Frida Kahlo che, dopo l’amputazione del piede, scrive nel suo diario: “Che bisogno ho dei piedi, se ho le ali per volare?”.

Dott.ssa Valentina Villani

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