Quando gli incompetenti non sanno di esserlo. Cos’è l’effetto Dunning-Kruger? Possibili applicazioni nell’ambito dell’attività subacquea

La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere – Socrate

Accade frequentemente che le persone particolarmente incompetenti siano le meno consapevoli della loro ignoranza, mentre i più esperti si mostrino invece insicuri rispetto alle loro capacità. Il fenomeno, chiamato “Effetto Dunning-Kruger”, prende il nome dai due ricercatori della Cornell University che nel 1999 hanno condotto uno studio di psicologia sociale diventato ormai un classico: “Unskilled and Unaware of It: How Difficulties in Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessment”.

Un giorno, David Duinning sentì parlare del caso di un ladro, McArthur Wheeler, che nel 1995 rapinò due banche a viso completamente scoperto, per essere poi arrestato poco dopo. Ciò che richiamò l’attenzione di Dunning fu la spiegazione data dal ladro riguardo al metodo impiegato. Affermò che non aveva usato alcuna maschera, ma che si era invece applicato del succo di limone sul viso, aspettandosi che ciò lo rendesse invisibile alle telecamere di sicurezza. Wheeler era completamente sorpreso per il fatto che la sua strategia, consigliata da due amici, non avesse funzionato. Per provare l’efficacia di questo trucco il ladro si spalmò del succo di limone e si fece una foto. Effettivamente nella foto non appariva, ma solo perché il succo gli era finito negli occhi e non era riuscito a inquadrarsi la faccia.

Incuriosito da questa faccenda, Dunning pensò di effettuare, con la collaborazione del giovane ricercatore Justin Kruger, una ricerca su questo particolare fenomeno.  Ad ogni partecipante fu chiesto quanto si considerasse bravo in tre differenti aree: grammatica, ragionamento logico e umorismo. Successivamente svolsero un test per valutare la loro reale competenza in tali ambiti.

I risultati dell’esperimento confermarono quanto già Dunning e Kruger sospettavano. I soggetti che si erano definiti “molto competenti” in ogni area, nelle prove avevano poi ottenuto le valutazioni peggiori. Al contrario, coloro che inizialmente si erano sottovalutati erano risultati i migliori.

Gli scienziati ipotizzarono quindi che, per una data competenza, le persone inesperte:

  1. tenderebbero a sovrastimare il proprio livello di abilità;
  2. non si renderebbero conto della reale capacità degli altri;
  3. non si renderebbero conto della propria inadeguatezza;
  4. riconoscerebbero la propria precedente mancanza di abilità qualora ricevessero un addestramento per l’attività in questione.

Si tratta in sostanza di una distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti tendono a sopravvalutarsi, giudicando, le proprie abilità come superiori alla media. Tutti possediamo un’abilità chiamata metacognizione che ci consente di osservare le nostre capacità e di valutarne il livello. Quando cerchiamo ad esempio di stimare quanto siamo bravi a giocare a scacchi, è proprio la metacognizione a permetterci di farlo.

Sembrerebbe però che le persone meno competenti abbiano una scarsa capacità di autovalutazione che le porterebbe a sopravvalutarsi. Questa distorsione viene attribuita all’incapacità metacognitiva, da parte di chi non è esperto in una materia, di riconoscere i propri limiti. Al contrario, il possesso di una reale competenza, può produrre la distorsione inversa, con una ridotta percezione della propria competenza e una diminuzione della fiducia in sé stessi, poiché individui competenti sarebbero portati a vedere negli altri un grado di comprensione equivalente al proprio.

Una volta arrivati alla conclusione dell’esistenza di un effetto distorsivo, mancava ancora la risposta al perché si manifesti un tale fenomeno. Dunning e Kruger stabilirono che la distorsione cognitiva si produce perché le abilità necessarie per compiere bene qualcosa sono le stesse che servono per fare una valutazione della mansione stessa. Non è possibile, infatti, rendersi conto di stare facendo male qualcosa se non siamo in grado di riconoscere i nostri errori e i nostri limiti. Ciò accade perché spesso accettiamo come veritiere solo quelle informazioni che coincidono con le nostre teorie e convinzioni, senza prendere in considerazione tutto ciò che è discrepante. Si tratta, dunque, di un errore di percezione.

Secondo i due ricercatori, l’unico modo per migliorarsi è quello di imparare a pensare a se stessi in modo più critico, in modo da poter fare autovalutazioni più oggettive.

Per migliorare la metacognizione di queste persone, diventa fondamentale il feedback e quindi fargli notare le loro incapacità, portarli a riconoscere di essere sempre nella posizione di poter imparare qualcosa dagli altri, condurli a identificare la propria incompetenza diminuendo le idee preconcette sul proprio grado di preparazione.

Non bisogna credere che l’effetto Dunning-Kruger riguardi solo gli altri, ma può manifestarsi in chiunque in determinati momenti della vita. Pensando agli ambiti applicativi di questo fenomeno, ho voluto approfondire l’attività subacquea, sia per uno specifico interesse personale che per una valutazione dei possibili rischi legati a tale fenomeno. Per fare questo ho posto alcune domande a due istruttori subacquei con grande esperienza in materia che ringrazio per la disponibilità e la collaborazione, Fabio Mattei, TDI Trimix & Cave Instructor e Giancarlo Spaziani, Istruttore FIPSAS M3. È naturale che oltre a una formazione tecnico-professionale, l’istruttore subacqueo dovrebbe ricevere una formazione psicologica con l’obiettivo di raggiungere un livello di maturità e di equilibrio psichico necessari nella relazione con l’allievo. Sono proprio questi aspetti psicologici, in particolare quelli riguardanti le possibili conseguenze dell’effetto Dunning-Kruger sulla pratica subacquea, quelli su cui mi sono focalizzata in questa breve intervista.

 1. Ti è mai capitato durante i corsi di trovare soggetti con questa distorsione cognitiva rispetto alle proprie capacità e in caso affermativo, come ti sei comportato in qualità di istruttore?

Fabio Mattei: «Molto spesso mi capita durante l’insegnamento dei corsi tecnici o di alcune specialità ricreative. Generalmente come requisito per accedere ad un corso è necessaria una discreta esperienza e durante il corso vengono introdotti o approfonditi nuovi argomenti, esercizi e/o attrezzature. Ogni corso abilita il subacqueo a nuove attività come l’immersione in grotta o l’immersione con decompressione. Quindi è normale che affrontando nuovi argomenti o esercizi, l’allievo compia degli errori. Sbagliare, comprendere l’errore ed essere corretti è parte del processo di apprendimento. I subacquei che sopravvalutano le proprie capacità non ammettono mai di aver sbagliato, danno sempre la colpa a qualcosa o a qualcuno. Più raramente mi è capitato che l’allievo contesti le procedure, la configurazione… motivando che secondo lui il suo metodo è migliore. Entrambi gli scenari rallentano l’apprendimento. In qualità di istruttore cerco di mettere l’allievo davanti all’evidenza dei fatti e quando non basta a parole, filmare o fotografare le sessioni in acqua aiuta molto».

Giancarlo Spaziani: «Mi è capitato spesso. Il problema principale nasce dal desiderio, da parte di soggetti in particolare giovani, di dimostrare il raggiungimento di preparazione o performance che dovrebbero essere dettati più dall’esperienza che non dalla capacità di effettuare un’attività solo in apparenza facilmente gestibile. Tipico è il desiderio di raggiungere profondità di rilievo solo per qualche attimo solo per “dimostrare” di essere riusciti in tale exploit. In qualità di istruttore il modo più proficuo di intervenire ritengo sia prima di tutto essere un modello di riferimento facendo in prima persona ciò che si insegna a partire, ad esempio, dalla compilazione del libretto di immersione e dalla logica di coppia, due tipici elementi che vengono insegnati e puntualmente disattesi dagli istruttori, quindi dal far comprendere che la capacità di un subacqueo non si misura dalle profondità raggiunte ma dal modo in cui si programma il tempo di immersione (un tempo che non sia semplice “toccata e fuga”) e si porta a termine un programma».

2. Quali sono i rischi di una persona che tende a sopravvalutare le proprie capacità in un’attività come la subacquea?

 Fabio Mattei: «Un subacqueo che ha poca esperienza in una determinata specializzazione potrebbe non essere consapevole di tutti i rischi associati al tipo di attività, andare oltre le proprie capacità e rendersi conto di avere un problema troppo tardi o non essere in grado di porvi rimedio».

Giancarlo Spaziani: «Nell’ambito subacqueo la semplicità con cui apparentemente si possono raggiungere profondità di rilievo portano inevitabilmente a potenziali condizioni di pericolo i soggetti poco inclini a prendere nella dovuta considerazione le raccomandazioni di istruttori o, in genere, subacquei con maggiore esperienza».

3. Cosa succede se ad avere questo deficit nella metacognizione è l’istruttore stesso? In questo caso quali sono i rischi e le conseguenze di un tale atteggiamento?

 Fabio Mattei: «Ogni candidato istruttore viene valutato da una commissione. Nella valutazione finale per l’ottenimento della qualifica di istruttore c’è anche quella psico-attitudinale. Questo in teoria…»

Giancarlo Spaziani: «La condizione in cui un istruttore subacqueo non ha raggiunto un livello di maturità e di equilibrio psichico tali da garantire prima di tutto la sicurezza di un allievo rappresenta uno dei maggiori elementi di pericolo per l’allievo stesso. Sia se l’allievo inconsciamente se ne renda conto, nel qual caso è soggetto a una condizione di disagio derivante dalla sensazione continua di essere in pericolo, sia se nel tentativo di emulare le gesta del suo istruttore l’allievo rischi nella propria incolumità. Tipico esempio è la figura di istruttore che desidera che l’allievo diventi un proprio “clone” senza prendere in considerazione aspetti caratteriali, desideri e preparazione complessiva dell’allievo stesso; altro esempio è l’istruttore che segue un programma didattico che giudica adatto a se stesso ma non lo adegua alle caratteristiche dell’allievo».

4. Quale potrebbe essere secondo te un metodo per migliorare le capacità di autovalutazione sia dell’allievo che dell’istruttore?

Fabio Mattei: «Sapere che esiste e in cosa consiste questa distorsione cognitiva è già un inizio. Ritengo che ognuno debba essere prima di tutto onesto con se stesso e per autovalutare la propria esperienza e competenza in una specifica attività, porsi delle semplici domande del tipo: L’ho mai fatto prima? Quante volte l’ho già fatto? Poi è fondamentale confrontarsi con altri che praticano la stessa attività per scambiare feedback costruttivi, cercando di essere più oggettivi e meno permalosi possibile. Infine continuare ad allenarsi e approfondire anche dopo avere ottenuto il brevetto».

Giancarlo Spaziani: «Sia per gli istruttori che per gli allievi, di particolare efficienza si sono dimostrate le tecniche di critica di gruppo nei debriefing dove vengono poste in evidenza le criticità ed eventuali errori/inconvenienti/problematiche emersi durate l’attività che devono diventare esperienza e patrimonio culturale di tutti i componenti. L’abitudine a divulgare anche inconvenienti o esperienze che sembrano insignificanti portano tutti i subacquei ad una complessiva crescita collettiva a tutto vantaggio della sicurezza».

 

Dott.ssa Valentina Villani

In collaborazione con: Fabio Mattei, TDI Trimix & Cave Instructor e Giancarlo Spaziani, Istruttore FIPSAS M3

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