La solitudine e l’isolamento

SolitudineCosa distingue la solitudine dall’isolamento?

Nella solitudine si continua a essere aperti al mondo delle persone e delle cose, anzi, c’è una nostalgia e un desiderio di mantenersi in una relazione significativa con gli altri. Ci si può sentire soli anche se fisicamente si è con l’altro o con una moltitudine di altri. La scelta della solitudine rappresenta una scelta forzata, un ritiro rispetto a un’idea di incapacità di sostenere l’altro. Un soggetto in solitudine è in effetti un soggetto che soffre. Ogni individuo deve fare i conti con la propria solitudine, vale a dire deve entrare in contatto con ciò che è più intimo a se stesso, entrare in relazione con tutte quelle parti di sé che sente estranee e nemiche e da cui tenta di sfuggire.

D’altra parte nell’isolamento non c’è alcuna relazione con l’altro, si è chiusi in se stessi, ci si allontana dal mondo rifiutando ogni forma di dialogo e di comunicazione. Non si vuole, e spesso non si è nemmeno liberi, di uscire da una condizione di isolamento totale, non ci sono più speranze né esperienze che si aprano al futuro, la solidarietà con gli altri diventa impossibile. Nell’isolamento si diviene estranei a se stessi e agli altri, finendo con l’essere in qualche modo stranieri non solo in patria ma anche in famiglia. La scelta dell’isolamento può essere dettata da un’esigenza immaginaria irrinunciabile di costruzione di una pseudo-realtà in cui un soggetto sperimenta un’idea di libertà. Un esempio attuale è l’utilizzo di Internet, dove non manca la possibilità di instaurare pseudo contatti e amicizie o amori virtuali che danno l’illusoria sensazione di essere inseriti nel mondo. Con l’isolamento si sceglie di escludere l’altro, di innalzare un muro tra se stessi e gli altri. Questa modalità consente di preservare un’immagine di sé ideale, non sfiorata dal confronto che potrebbe svilirla o renderla vulnerabile. Con l’isolamento si concretizza un ritiro dall’altro in generale senza passare per la solitudine, diventa una modalità per non fare i conti con la solitudine.

Cosa può spingere ciascuno di noi in questa prigione senza porte né finestre? Cosa ci allontana dagli altri? Le cause dell’isolamento sono diverse: la malattia, in particolare la depressione, la mancanza o la perdita di persone amate alle quali si accompagnava il senso della vita, la dissolvenza di ruoli sociali significativi, ma anche conflitti personali, egoistici o narcisistici che non hanno a che fare con una sofferenza psichica ma con aridità di cuore, deserti emozionali, indifferenza, con l’incapacità o l’impossibilità di vivere e condividere gioie, dolori, tristezze e inquietudini insieme all’altro.

Non è facile riconoscere la traccia spesso invisibile della solitudine, non solo in persone che ci sono sconosciute, ma anche in persone che ci sono familiari e che vivono, al di là delle apparenze, nella loro dolorosa e segreta condizione di solitudine. L’ascolto delle parole inespresse, il linguaggio dei volti e dei gesti, quello che si sostituisce alle parole, può aiutare a evitare di confondere una condizione di solitudine sofferta e nostalgica con una condizione di voluto isolamento.

La solitudine può assumere sfumature di colori cupi quando è legata alla perdita, all’abbandono e all’isolamento. E’ qui che si può osservare quanto questo sentimento sia intimamente legato al proprio senso dell’identità. L’identità si struttura infatti fin dall’infanzia attraverso la paura e l’incertezza dell’abbandono della madre. Ci si spaventa della solitudine proprio perché è sovrapponibile allo stress emotivo da separazione. E’ come se il proprio valore dipendesse dal riconoscimento e dall’accettazione da parte dell’altro.

Mentre nella separazione e nell’abbandono il vuoto è determinato dalla perdita reale della persona amata, nella solitudine questo vuoto sembra non poter mai essere colmato, essendo determinato dall’impossibilità a stabilire contatti profondi e significativi con le persone care.

La solitudine non è soltanto nostalgia acuta di relazione, desiderio di relazione, ma anche una dimensione essenziale di ogni relazione che tenga presenti la solitudine in chi parla e quella di chi ascolta, l’una intrecciata nell’altra. Come il silenzio, la solitudine è un’esperienza interiore che ci aiuta a vivere meglio la nostra vita facendoci distinguere ciò che è essenziale da ciò che non lo è.

La solitudine voluta e ricercata rappresenta la volontà di stare con se stessi, incoraggia lo sviluppo dell’interiorità, predispone alla creatività e alla nascita del nuovo. E’ anche la solitudine dell’asceta o di chi, nella quotidianità, sente il bisogno di ricercare un momento suo per recuperare le energie o per ritrovare quella parte di sé affannata dagli eventi della vita . In questi casi diventa una scelta, uno stile di vita che alimenta esperienze con un senso più profondo. Rimanere soli di fronte a una decisione importante a volte diventa necessario per ritrovare un autentico dialogo con i propri bisogni.

Il percorso di una psicoterapia o di una farmacoterapia o, più in generale, della cura, è orientato a liberare la persona da una condizione di isolamento trasformandola in solitudine. L’isolamento non è altro che una solitudine mascherata, creare il passaggio da una condizione all’altra e riempire l’esperienza di contenuti emozionali è fondamentale.

La cura, oltre ai casi in cui si ritengano necessari i farmaci, si basa sul dialogo e sull’ascolto, sull’introspezione, sull’immedesimazione, sulla partecipazione emotiva, sulla gentilezza e sulla solidarietà, su parole che nascono dal silenzio e dalla solitudine. La creazione di una relazione in cui ci sia un dialogo vivo e vibrante è una condizione indispensabile. Il paziente ha bisogno di sentirsi ascoltato e accolto nella sua debolezza, non giudicato e oggettivato ma riconosciuto nella sua interiorità. Non c’è cura se non nel contesto di una relazione interpersonale che rimetta ogni volta in discussione il modo di sentire e di vivere sia di chi cura che di chi viene curato e nella quale l’obiettivo è la ricerca di un senso comune. Una buona relazione è possibile quando ognuno sente di aver costruito per sé uno spazio in cui potersi muovere liberamente e permettere anche all’altro di poter fare altrettanto. Solo la conoscenza e l’esperienza del dolore dell’anima consente al terapeuta di intuire e sentire cosa si svolga nel segreto di un’interiorità lacerata e, nello stesso tempo, cosa possa essere d’aiuto per il paziente. Le parole che curano contengono tracce talora indicibili della sofferenza. A questo proposito Emily Dickinson in una sua breve poesia esprime questo concetto:

“Ad un cuore spezzato

Nessun cuore si volga

Se non quello che ha l’arduo privilegio

D’avere altrettanto sofferto.”

Dott.ssa Valentina Villani

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