Aspetti simbolici e psicologici dell’immersione subacquea

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Foto di Valerio Pascucci

Vorrei che tu fossi l’acqua in cui nuotare nudo come un feto che mima il suo immenso desiderio di pace” George Gershwin.

La preparazione dell’equipaggiamento, il briefing, l’ultimo controllo dell’attrezzatura, l’assenza di gravità, scendere nel ‘blu’, le modificazioni dei colori, l’affidarsi al compagno e al gruppo, la continua verifica di se stessi, sentire il proprio respiro, gli incontri con i pesci e le altre creature marine, la contemplazione dei fondali e delle pareti, la suggestione alla vista di un relitto o di una grotta, l’euforia per l’impresa compiuta, parlare dopo il silenzio. Il comportamento dell’immergersi ha un grande significato simbolico.

In alcune persone, il silenzio, il controllo della respirazione, la mancanza di gravità, spesso creano uno stato di vuoto di significati e stimoli sul piano razionale che creano una reazione di maggiore percezione di elementi provenienti dal mondo interno. In altre persone, al contrario, questo favorisce uno stato di rilassamento, calma, pace, concentrazione. Non è raro sentire subacquei che riferiscono di raggiungere uno stato di calma solo andando sott’acqua. Alcuni riferiscono che la mancanza di rumore e la necessità di concentrarsi su parametri fisiologici come il respiro, li induce in una sorta di stato di grazia, un senso di protezione e di mancanza di qualsiasi tensione e necessità.

A livello simbolico, l’immersione può essere vista come il ritorno nell’utero materno, un momento simbiotico nel quale il subacqueo si riunisce con il mare che ha sempre rappresentato la “grande madre” per l’arte e la psicoanalisi. La prima esperienza degli esseri umani nel grembo materno è anche la nostra prima esperienza di immersione in cui abbiamo sperimentato per la prima volta quel senso di beatitudine attraverso la fusione con il liquido amniotico. In età adulta, possiamo rivivere altre esperienze di immersione come quella subacquea intesa non solo come attività sportiva o di rilassamento ma anche come attività di ricerca e scoperta della dimensione inconscia della mente. L’unico modo che abbiamo di ripetere da adulti la prima immersione in amnios è l’esperienza di una seconda nascita attraverso le immersioni subacquee.

”I suoni delle piccole pietre o della sabbia, i movimenti dei pesci, la vibrazione dell’ acqua, attivano la memoria dell’esperienza acquatica primaria” (Gargiulo).

È proprio per questo risveglio della nostra memoria primordiale inconscia che possiamo sentire, quando ci immergiamo, uno stato di rilassamento, sonnolenza o paura sulla base dalla qualità emotiva della nostra esperienza in amnios.

In immersione il pieno potenziale della nostra percezione distale è offuscato, mentre disponiamo di un maggiore senso di posizione del nostro corpo nello spazio, una percezione tridimensionale rispetto a quella bidimensionale terrestre oltre che una percezione più intensa del suono del nostro respiro, del battito cardiaco e delle sensazioni viscerali. Questa condizione ci obbliga a una maggiore concentrazione sul nostro mondo interiore rendendo l’immersione subacquea un’esperienza introspettiva. L’attrazione per aspetti ‘abissali’ del mondo esterno rappresenta anche una manifestazione del bisogno di fare i conti con parti di sé temibili ed inesplorate. Il mare e le sue profondità si candidano molto bene a rappresentare gli scenari del viaggio all’interno di sé. L’attrazione per l’abisso interiore porta all’idea di una riorganizzazione dei rapporti con aspetti interni di sé e ad un tentativo di convivenza pacifica con essi.

“Impara prima a calmare lo spirito, e poi a rilassare il corpo, poi scendi in te stesso, come un subacqueo” afferma il monaco tibetano Dugpa Rinpoche.

Secondo Gargiulo, mentre a terra non sentiamo la resistenza dell’aria, in immersione, sentiamo la presenza dell’acqua attraverso la pressione sulla nostra pelle. Quest’esperienza percettiva ci obbliga a una percezione “dell’altro da noi” a cominciare dalle caratteristiche fisiche dell’ambiente. L’esperienza tattile subacquea della percezione della presenza e della pressione dell’acqua sulla pelle fa pensare a quello che Didier Anzieu ha descritto nel suo famoso saggio sull’Io-Pelle. La pelle è il primo organo di relazione con il mondo che si forma dallo stesso foglietto embrionale da cui originerà il sistema nervoso. Attraverso il tatto, dunque, sentiamo prima e meglio l’esistenza dell’altro da noi ma anche la dipendenza e l’autonomia da esso. Per tornare alla esperienza subacquea, sentiamo maggiormente l’esistenza dell’acqua, ma sentiamo anche i nostri potenti sentimenti di dipendenza dall’acqua e la possibile ansia che questo può generare. E’ possibile che se la fisiologica interconnessione e interdipendenza degli esseri umani non viene accettata sufficientemente può non essere bene accetta neanche la fondamentale dipendenza della nostra vita dall’acqua nel periodo dell’immersione, originando vissuti claustrofobici generatori di panico (ad esempio essere costretti a restare in acqua, specie se a importanti profondità per il tempo consentito dalle tabelle di decompressione ecc.).

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Foto di Valerio Pascucci

Ci sono numerosi fattori emotivi di tipo inconscio alla base del desiderio di effettuare un’immersione subacquea. Tracciare il profilo psicologico del subacqueo non è un’operazione facile perché ogni volta che si tenti di definire un essere umano sulla base di una singola attività che svolge o che lo appassiona, si corre il rischio di riduzionismo. E possibile, però, costatare se esistano degli aspetti che si presentano con maggior frequenza tra chi pratica una stessa attività e approfondire quali siano le caratteristiche determinanti.

Il desiderio di isolarsi

L’isolarsi è una tra le caratteristiche più affascinanti dell’attività subacquea: la persona è infatti tagliata fuori completamente dal mondo esterno. La comunicazione sott’acqua è molto limitata e parallelamente si incrementa la consapevolezza del subacqueo che il proprio benessere fisico è completamente nelle sue mani.

Il desiderio di appartenere ad un gruppo

A dispetto della condizione di isolamento sopra citato, la subacquea è di fatto un’attività che ha un’alta valenza sociale. In primo luogo, durante l’immersione ciascun subacqueo ha un compagno. Ciascun membro di questa coppia è responsabile dell’altro, deve monitorare i movimenti del partner ed essere pronto a offrire il suo aiuto se è necessario. Inoltre l’attività subacquea è quasi sempre strutturata come un’attività di gruppo all’interno del quale ciascuno ha un suo ruolo.

Lo spirito agonistico

Il subacqueo sportivo, a differenza di chi pratica altre discipline, non deve vincere nulla, non ha un traguardo da superare a tutti i costi o degli avversari da vincere. Nelle immersioni tecniche c’è un traguardo dato dal raggiungere una certa profondità o dal riuscire a visitare un particolare relitto, ma questo tipo di obiettivi sono raggiungibili solo grazie alla cooperazione di altri compagni di immersione. Il subacqueo aspetta chi rimane per ultimo e interrompe l’immersione se una persona non si sente bene o ha terminato prima degli altri l’aria della bombola. Se il desiderio di emergere e di gareggiare non è un elemento che caratterizza l’immersione, questo non vuol dire che chi pratica la subacquea non abbia il senso dell’agonismo, tipico di ogni essere umano e caratteristico della struttura psichica dello sportivo. Come sostiene De Marco “Egli esprime ciò in modo diverso, con differenti obiettivi. Il subacqueo lotta, si difende, combatte, aggredisce, ma il suo avversario è più l’ambiente che lo circonda che un suo collega. Il suo agonismo, indubbiamente atipico (in ciò paragonabile a quello degli alpinisti), è correlabile alla pericolosità dell’immersione”.

Spirito ribelle

La subacquea rappresenta un ribellarsi alle leggi della natura, alle regole della creazione che hanno assegnato il mare ai pesci e la terra agli uomini. Tramite una forma di isolamento autoimposto, il subacqueo riesce ad estraniarsi dalla società e forse anche in questo modo esprime il suo spirito ribelle. Groves sostiene che fino agli anni ’50 gli psicologi correlavano la partecipazione a sport pericolosi a nascosti desideri di morte con spostamento e rovesciamento dell’angoscia secondo la teoria freudiana e alla presenza di un eccesso di sentimenti di inadeguatezza e inferiorità. Negli ultimi anni questa visione si è modificata e oggi le teorie psicologiche vedono la partecipazione agli sport pericolosi come un desiderio di arricchimento, di accrescimento e di stimolo.

Un’esperienza di vita parallela

Secondo Antonelli, lo sport subacqueo è definibile come “un’esperienza di vita parallela” più che una vera disciplina sportiva. In base a questa affermazione, il subacqueo sembra ritrovare nel mondo sommerso qualcosa che non riesce a vivere o a soddisfare nella vita quotidiana. Pelaia dai colloqui clinici che ha svolto con sommozzatori di diverso ceto ed estrazione sociale, ha evidenziato che non è il mondo subacqueo reale a stimolare e ad attrarre il subacqueo, ma l’idealizzazione di esso. E’ la tendenza, comune a tutti i sub del suo studio, a soddisfare le esigenze di dinamiche inconsce a ricostruire, al di sotto del mare, il meraviglioso mondo delle esperienze primordiali. Questo aspetto è verificabile sul piano interpersonale quando, durante il “debriefing”, ogni subacqueo racconta di aver visto pesci, coralli o di aver provato delle sensazioni che molto spesso differiscono dalle esperienze e dai racconti degli atri subacquei come se ognuno avesse fatto un’immersione diversa. Anche sul piano intrapersonale la ripetizione da parte del subacqueo di un’immersione già effettuata, fa sì che affiorino nel campo percettivo elementi che la rendono diversa dall’esperienza vissuta in precedenza.

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Foto di Valerio Pascucci

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Foto di Valentina Villani

 

 

 

Vivere la profondità del mare si pone in stretto rapporto col bisogno di conoscere la parte più segreta di noi e, aiutati proprio dalla condizione dell’essere avvolti nel liquido, questa conoscenza riesce ad emergere e consolidarsi in maniera libera da filtri d’immagine. Varcare il mondo proibito, inizialmente spinti dall’esuberanza di essere più forti di ciò che ci circonda, ci conduce poi, alla scoperta di sentimenti umili, razionali e coerenti, che si esprimono attraverso il rispetto nei confronti della natura che ci ospita ma anche verso le proprie debolezze, paure e timori. Il mondo degli abissi è popolato da creature sconosciute che si lasciano avvicinare da creature sconosciute, questo è un richiamo primitivo che ha tracciato la crescita dell’uomo: scoprire e conoscere.

Dott.ssa Valentina Villani

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