Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder)

Mangiare è un processo complesso, che non coinvolge soltanto aspetti legati alle abitudini, ma tocca parti più profonde e radicate dell’individuo. Può capitare di mangiare non per fame, ma in risposta a sentimenti, emozioni particolari o condizioni di stress in cui si perde il controllo: non è più il corpo a decidere quanto e cosa mangiare, ma sono le emozioni vissute in quel momento a dettare legge. Il cosiddetto “emotional eater” utilizza il cibo non solo come sostituto simbolico di qualcosa che manca, ma come vero e proprio “oggetto” con il quale creare un rapporto di soddisfazione, seppure fittizia. Alcune persone tendono ad abbuffarsi quando sono tristi, altre quando sono annoiate, altre ancora per non pensare a questioni delicate della propria vita. L’ Emotional Eating spesso porta a mangiare in eccesso e soprattutto il cosiddetto “comfort food”, cibo con un alto contenuto di calorie e di grassi, come i dolci. L’innalzamento improvviso del livello di zucchero nel sangue genera una sensazione immediata di benessere che però ha una breve durata. La persona comincia a sentire in maniera prepotente il desiderio di altri zuccheri dando così vita a quelle spirale di dipendenza dagli zuccheri che è all’origine di quasi tutti i problemi di sovrappeso. L’emotional eating è stato individuato come fattore scatenante le abbuffate sia nella bulimia nervosa (BN) che nel Binge Eating Disorder (BED) o Disturbo da Alimentazione Incontrollata. La persona affetta da Binge Eating Disorder spesso va incontro ad un aumento costante del peso, fino allo sviluppo di una vera e propria obesità causata da abbuffate, senza le successive condotte eliminatorie (vomito autoindotto, uso di lassativi e diuretici), tipiche della Bulimia Nervosa. Come nel caso della bulimia, l’abbuffata avviene in solitudine in uno stato quasi dissociativo che ha lo scopo di allontanare il soggetto dalle difficoltà e dai problemi della vita in quel particolare momento. Mancando il comportamento compensatorio, inoltre, le abbuffate sono immediatamente seguite da malessere fisico e psicologico, con forte senso di frustrazione, disgusto verso sé stessi e riduzione dell’autostima.

Il Binge Eating Disorder è stato incluso nel DSM-5 come categoria distinta di disturbo dell’alimentazione. Le abbuffate si devono verificare, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi, secondo i seguenti criteri diagnostici:

1. Ricorrenti episodi di abbuffate. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi gli aspetti seguenti:

A. Mangiare, in un periodo definito di tempo una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili.

B. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando).

2. Gli episodi di abbuffata sono associati a tre (o più) dei seguenti aspetti:

A. Mangiare molto più rapidamente del normale.

B. Mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni.

C. Mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati.

D. Mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando.

E. Sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o molto in colpa dopo l’episodio

3. È presente un marcato disagio riguardo alle abbuffate.

4. L’abbuffata si verifica, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi.

5. L’abbuffata non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie inappropriate come nella bulimia nervosa, e non si verifica esclusivamente in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa.

Tra i fattori che la letteratura recente indica come determinanti nella genesi e nel mantenimento del disturbo vi sono l’esperienza e la regolazione disfunzionale delle emozioni: le persone a rischio di questi disturbi spesso presentano difficoltà nella gestione delle emozioni, sperimentano frequentemente emozioni negative molto intense e utilizzano il cibo per regolarle (Polivy e Herman, 2002; Bardone-Cone e Cass, 2006; Macht, 2008).

Come affermano Taylor e al., (1997), le persone affette da BED sono fondamentalmente alessitimiche (letteralmente, “nessuna parola per le emozioni”), in quanto presentano deficit nel riconoscimento dei propri stati interni (fame, sazietà, senso di vuoto), nell’esplorazione del proprio mondo interiore e nella competenza necessaria per riconoscere ed esprimere le proprie emozioni. La mancanza di informazioni sul proprio stato di benessere e sui propri desideri e bisogni, ostacola la creazione di confini stabili con gli altri, aumentando, di conseguenza, la dipendenza dall’ambiente esterno per avere conferme e sicurezze.

Alcuni soggetti riferiscono che il loro comportamento alimentare incontrollato viene scatenato da alterazioni dell’umore, come depressione, ansia, irritabilità e tristezza. Altri non sono in grado di individuare precisi fattori scatenanti, ma riferiscono sentimenti aspecifici di tensione che ricevono sollievo dal mangiare senza controllo. Studi su soggetti affetti da Binge Eating Disorder (Wegner e collaboratori, 2002) hanno messo in relazione le emozioni negative (ansia, tristezza, disperazione, noia, rabbia) con la tendenza alle abbuffate con una maggiore incidenza nel sesso femminile rispetto ai maschi.

Qualsiasi stato d’animo negativo che superi la soglia soggettiva di tolleranza può scatenare un’abbuffata. Secondo alcuni modelli teorici (Vinai, Todisco, 2007) le persone affette da disturbo da alimentazione incontrollata riescono a percepire le emozioni solo quando raggiungono una certa intensità, al di sotto della quale sono come anestetizzati, ma appena iniziano a percepirle non sono più in grado di tollerarle.

Le emozioni negative possono essere provocate da diverse tipologie di eventi, come le difficoltà relazionali e di coppia. Spesso le abbuffate sono la risposta al disagio provocato dal sentirsi soli o abbandonati, dal pensare di non avere valore per gli altri a causa del proprio senso di inadeguatezza e di scarsa autostima. Il soggetto BED si sente completamente incapace di gestire le sensazioni e le emozioni negative con strumenti diversi dal cibo. Non riuscendo a proiettare nel futuro le conseguenze delle proprie azioni, e quindi adottare una prospettiva di cambiamento che richieda un certo impegno nel tempo, preferisce una soddisfazione immediata.

Inoltre, tenderà a interpretare in maniera eccessivamente negativa eventuali ricadute alimentari, favorendo l’insorgere di un altro aspetto comune nei soggetti con disturbi alimentari, il senso di colpa. La mancanza di una sufficiente consapevolezza di sé facilita l’insorgenza e il mantenimento di comportamenti estremizzati, producendo l’alternarsi di restrizioni e abbuffate, che rendono difficile condurre un’esistenza equilibrata. Questo atteggiamento rafforza inoltre il senso di fallimento di fronte anche a una piccola ricaduta alimentare, favorendo l’insorgenza dei sensi di colpa e il perpetuarsi dei sintomi depressivi.

Il 50% dei pazienti con disturbo da alimentazione incontrollata soffre di depressione maggiore, disturbo di panico e di alcuni disturbi di personalità. Il sintomo dell’abbuffata infatti andrebbe a compensare una sensazione pervasiva di sconforto persistente presente nel momento della crisi.

Come per l’anoressia e la bulimia, l’origine del disturbo da binge-eating è complessa e legata a diversi fattori di origine genetica, personale, familiare, sociale, affettiva e ambientale.

Secondo le teorie biopsicosociali i deficit di regolazione delle emozioni possono essere spiegati da fattori relazionali precoci, quali, in particolare, l’incapacità del caregiver (genitore o chi ne fa le veci) di facilitare un pattern di attaccamento sicuro nei propri figli, determinando un’insufficiente maturazione della regolazione emotiva (Fonagy & Target, 2001; Schore, 2001; Caretti & e La Barbera, 2005).

L’intervento ottimale per questo tipo di pazienti è integrato: psicoterapeutico e medico-nutrizionale. Il solo intervento nutrizionale o chirurgico non è sufficiente, diventa fondamentale quindi affiancare una psicoterapia per affrontare il delicato tema della gestione delle emozioni con cui questi pazienti sono costantemente coinvolti.

Dott.ssa Valentina Villani

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