Senza memoria e desiderio: dialoghi inconsci in una seduta di psicoterapia

 

Scarta la tua memoria, scarta il tempo futuro del tuo desiderio; dimenticali entrambi in modo da lasciare spazio ad una nuova idea. Forse sta fluttuando nella stanza in cerca di dimora un pensiero, un’idea che nessuno reclama.

Wilfred Ruprecht Bion, 1962

 

 

Qualche giorno fa, durante una seduta con un paziente, mi viene in mente in maniera improvvisa il concetto di Bion dell’abbandonare memoria e desiderio nello spazio psicoanalitico. Mi risuona in mente più volte ma non riesco a ricostruire il nesso con ciò che il paziente stava dicendo in quel momento. Mi riprometto di pensarci una volta finita la seduta anche per non distrarmi dal momento presente e per non lasciare il paziente da solo. Per tutto il resto della seduta è come se Bion si fosse seduto accanto a me ripetendomi nelle orecchie: “Abbandona memoria e desiderio”. Lo ascolto, mi metto in quell’assetto mentale di quiete e di semplice osservazione e in condizione di poter tollerare la paura dell’inconoscibile che evidentemente quel paziente aveva appena attivato in me.

Dopo la seduta ho fatto un grande sforzo per ricordare l’origine di quella mia associazione, ma per quanto potessi impegnarmi, non sono riuscita proprio a ricordare da quali parole del paziente si fosse originata. Forse stavo sbagliando a cercare da dove, forse era più giusto concentrarsi sul perché, forse avrei dovuto dare ascolto alle parole di Bion che si erano affacciate alla mia mente per qualche motivo e che probabilmente costituivano una risposta alle richieste implicite del mio paziente.

Bion suggeriva ai terapeuti di esercitarsi nello sforzo di abbandonare memoria e desiderio, quindi avere la capacità di stare come se si fosse sempre di fronte al nuovo. “Il paziente sbagliato è quello che ho in testa: non la persona presente davanti a me ma ciò che credo sia o che vorrei che fosse”. Rimanere ancorati ai propri ricordi emotivi e cognitivi, spesso distorti, è un ostacolo al cambiamento, così come l’aspettativa nei confronti del futuro impedisce che possano svilupparsi liberamente idee, soluzioni, fantasie. Secondo Bion i terapeuti dovrebbero diventare insaturi, ovvero sufficientemente vuoti per ascoltare il paziente con una mente sgombra, senza proiettare su di lui le cose di lui già note (memoria) e senza aspettarsi che cambi nella direzione che si vorrebbe (desiderio).

Avendo sospeso memoria e desiderio, lo psicoanalista può esercitare l’arte dell’intuizione, l’unico strumento che possiede per superare l’ostacolo della sensorialità e arrivare alla pura verità e alla conoscenza. Bion sapeva, naturalmente, che è impossibile essere senza memoria e senza desiderio, ma credeva anche che esercitandosi in questo compito impossibile, i terapeuti avrebbero potuto liberarsi un po’ da quella saturazione che orienta continuamente gli individui verso ciò che dovrebbero fare per essere felici, stabili, adatti…Sapeva anche che questa posizione del terapeuta favorisce una posizione diversa del paziente verso sé stesso.

Racconta lo psichiatra J. S. Grotstein che una volta, dopo che aveva reagito a un intervento particolarmente efficace del suo maestro Bion, esclamando: “E’ stata una bella interpretazione”, si sentì rispondere: “Sì, una bella interpretazione sostiene lei. L’intoppo è che la mia bella interpretazione è stata resa possibile soltanto in virtù delle sue belle associazioni. Ma lei era talmente smanioso di ascoltarmi che ha dimenticato di ascoltarsi mentre parlava”. In questo caso l’analista fa un’ulteriore interpretazione che mette l’accento sulla condizione di saturazione del paziente che è così pieno di aspettative (desideri) da non avere più spazio per sé. Naturalmente, nella vita di tutti i giorni, succede spesso anche il contrario: siamo così impegnati ad ascoltare il nostro dialogo interno che non abbiamo più spazio per l’altro.

Viviamo in un mondo che privilegia compulsivamente la prospettiva secondo la quale è il contesto che determina il nostro umore, le nostre opinioni su noi stessi e le nostre priorità. L’idea che passa continuamente, che viene ribadita dai mezzi di comunicazione, è il bisogno di fare qualcosa, perché facendola ci si potrà sentire in un certo modo o ci darà la possibilità di ottenere qualche altra cosa, che a sua volta sarà necessaria per procurarsi altro ancora, e così via. Ma non appena un bisogno viene soddisfatto se ne presenta un altro più sottile e sofisticato che esige di essere soddisfatto, in una continua ricerca di una felicità che poi si rivela precaria, vana e inconsistente. Continuiamo a scordarci di quanto la realtà in cui siamo immersi è determinata dal mondo e da noi, dall’esterno e dall’interno.

Secondo Bion in qualsiasi seduta, ha luogo un’evoluzione. Dal buio e dall’informe, qualcosa si evolve. Quell’evoluzione può avere una somiglianza superficiale con la memoria, ma una volta che è stata sperimentata, non può mai venire confusa con la memoria. Per certi versi assomiglia ai sogni, condivide con essi la qualità dell’essere totalmente presente oppure inspiegabilmente e improvvisamente assente. Questa evoluzione è la cosa che lo psicoanalista deve essere pronto a interpretare.

Trovo queste parole di Bion in “Cogitations”: “Lo psicoanalista dovrebbe ripromettersi di raggiungere uno stato mentale tale da sentire, ad ogni seduta, di non aver mai visto prima quel paziente. Se sente di averlo già visto, sta trattando il paziente sbagliato” e finalmente riesco a capire non tanto le parole specifiche del mio paziente che stavo cercando di ricordare, quanto piuttosto la sua richiesta implicita.

In maniera più o meno velata mi stava chiedendo di fare un lavoro diverso, di parlare di altri aspetti di sé, non quelli noti a entrambi, di fare un viaggio in terre ignote e inesplorate. Ora capisco che la mia associazione era una risposta alle sue richieste e per fare questo viaggio insieme mi era venuto in soccorso Bion. Indirettamente il paziente stesso mi aveva guidato nella direzione giusta: avrei dovuto sospendere qualsiasi aspettativa o fantasia di guarigione, avrei dovuto abbandonare l’idea che avevo di lui e guardarlo come se lo avessi visto per la prima volta, avrei dovuto abbandonare memoria e desiderio per andare più a fondo nel processo di conoscenza lasciando fluttuare i pensieri e tenendo la mente ben aperta per far sì che in essa potesse accadere qualcosa di realmente nuovo.

Dott.ssa Valentina Villani

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