Attacchi di Panico

Psicologo Psicologa Psicoterapeuta Roma Monteverde Portuense Valentina Villani

Palpitazioni, tachicardia, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento o asfissia, dolore al petto, nausea, sensazioni di sbandamento o svenimento, paura di perdere il controllo, di impazzire o di morire, sensazione di irrealtà (derealizzazione), sensazione di distacco da se stessi (depersonalizzazione), formicolio, brividi o vampate di calore. I sintomi di un attacco di panico si sviluppano improvvisamente e raggiungono il picco nel giro di dieci minuti circa. Si tratta di un periodo preciso di paura o disagio intensi in cui sono sufficienti almeno quattro dei sintomi elencati.

Si possono individuare tre tipi di attacchi di panico:

  • Inaspettati, nei quali l’esordio non è associato a un fattore scatenante situazionale;
  • Causati dalla situazione, i quali si manifestano durante l’esposizione o nell’attesa di uno stimolo o un fattore scatenante (ad esempio un soggetto con fobia sociale che ha un attacco di panico nel momento in cui deve parlare in pubblico);
  • Sensibili alla situazione, che possono manifestarsi in seguito all’esposizione di un fattore situazionale scatenante, ma non sono necessariamente legati allo stimolo scatenante (ad esempio, è altamente probabile che gli attacchi di panico si manifestino mentre il soggetto sta guidando la macchina, ma alcune volte lo stesso soggetto può guidare senza avere attacchi).

La frequenza e la gravità degli attacchi di panico è molto variabile: alcuni individui presentano attacchi moderatamente frequenti (ad esempio una volta a settimana) che si manifestano per mesi in maniera regolare, mentre altri riferiscono una serie di attacchi più frequenti (ad esempio quotidianamente per una settimana) intervallate da settimane senza attacchi o con frequenza ridotta.

Chi ha provato gli attacchi di panico li descrive come un’esperienza terribile in cui la percezione di un’intensa paura, apprensione o terrore è spesso associata a una sensazione di catastrofe imminente. La paura di avere un nuovo attacco molto spesso diventa dominante e il singolo episodio può sfociare in un vero e proprio disturbo di panico in cui c’è una preoccupazione persistente di avere altri attacchi, la cosiddetta “paura della paura”.

La preoccupazione per il prossimo attacco o per le sue implicazioni sono spesso associate allo sviluppo di condotte di evitamento che possono determinare una vera e propria agorafobia (paura degli spazi aperti). Nei casi di disturbo di panico con agorafobia, il disagio aumenta in tutti quei contesti come i luoghi affollati o più in generale i luoghi pubblici, nei quali la persona teme di non poter raggiungere una via di fuga in caso di crisi di panico. Diventa quindi quasi impossibile uscire di casa da soli, viaggiare in aereo, in treno o in metropolitana, guidare la macchina o stare in mezzo alla folla. L’evitamento di tutte le situazioni che potenzialmente potrebbero scatenare l’attacco di panico rende l’individuo schiavo dei suoi sintomi al punto da sentirsi più sicuro solo quando viene accompagnato da una persona di fiducia, riducendo così la sua autonomia.

Solitamente gli attacchi di panico sono più frequenti in periodi stressanti. In particolare, la perdita o la rottura di relazioni interpersonali importanti come ad esempio lasciare la propria casa per andare a vivere da soli, il divorzio, la malattia o la perdita di una persona significativa, possono fungere da fattori precipitanti.

Oltre alle ricerche che hanno riscontrato una maggiore incidenza di eventi esistenziali stressanti nei soggetti con disturbo di panico, varie teorie supportate da ricerche hanno tentato di comprendere la patogenesi di questo disturbo.

Secondo Kagan e collaboratori dipende da una caratteristica temperamentale innata definita “inibizione comportamentale a ciò che non è noto” in cui i bambini possono essere facilmente spaventati da tutto ciò che è loro estraneo.

Secondo uno studio condotto da Manassis e collaboratori, i pazienti con disturbo da attacchi di panico spesso vedono la separazione e l’attaccamento come reciprocamente escludentesi. Ciò si traduce nella manifestazione di uno spettro estremamente ristretto di comportamenti che tentano allo stesso tempo sia di evitare la separazione, percepita come troppo minacciosa, sia l’attaccamento che viene vissuto come troppo intenso.

Milrod suggerisce invece che coloro che sviluppano attacchi di panico sono soggetti a sensazioni di frammentazione del Sé e possono avere bisogno di un terapeuta o di altre figure significative che li aiutino a percepire un senso stabile di identità.

Anche un abuso sessuale e fisico durante l’infanzia sembra avere qualche collegamento con lo sviluppo di un disturbo da attacchi di panico. Una ricerca condotta da Stein e collaboratori rilevò un’elevata correlazione tra disturbi d’ansia e storie di abuso sessuale infantile nei gruppi di donne esaminati. Poiché il trauma infantile interferisce con l’attaccamento del bambino ai genitori, l’abuso sessuale potrebbe spiegare alcune delle difficoltà che i soggetti con disturbo da attacchi di panico hanno nel sentirsi sicuri con gli oggetti significativi della loro vita.

La cura farmacologica può essere utile per ridurre o eliminare i sintomi dell’attacco di panico ma da sola non rappresenta un trattamento risolutivo.

E’ preferibile affiancare alla terapia farmacologica una psicoterapia,attraverso la quale è possibile aiutare il paziente a sentirsi accolto, a capire il significato profondo dell’ansia, a tollerarla, a svelare il simbolismo delle situazioni evitate, il tipo di conflitto espresso dall’attacco di panico e a modificare i meccanismi alla base di quel comportamento che causa così tanta sofferenza.

Dott.ssa Valentina Villani

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