Emozioni e Fotografia

Psicologo Psicologa Psicoterapeuta Roma Monteverde Portuense Valentina VillaniQuale essere umano non ha mai voluto provare l’ebbrezza di sfidare le leggi del tempo incastonando preziosi istanti tra le pagine di un album di fotografie? E quale essere umano di fronte a un obiettivo fotografico non è mai stato colto da un narcisistico bisogno di apparire al meglio di sé per guardarsi compiaciuto dopo anni o per imprimere per sempre il ricordo di un momento felice? Charles Baudelaire definiva i fotografi “pittori falliti” e perciò privi delle abilità necessarie per essere considerati artisti. Nonostante ciò, cederà alla tentazione di fermare il tempo e lasciare una traccia di sé nel futuro facendosi ritrarre da Daguerre e Nadar, i maggiori fotografi della sua epoca.

La fotografia risponde al bisogno dell’uomo di fermare l’attimo trasmettendo emozioni a livello cosciente e soprattutto a livello inconscio in quanto strumento non verbale in grado di attivare vissuti profondi. “Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento” diceva Henri Cartier Bresson.  Ed ecco che epoche storiche, eventi importanti, personaggi illustri e avvenimenti di rilievo rimangono impressi in modo indelebile, scolpiti visivamente in una memoria collettiva nel momento in cui vengono catturati in uno scatto. Il processo mnemonico è stato attivato. Non è un caso che le emozioni giochino un ruolo fondamentale nel processo di recupero dei contenuti di memoria dando colore ai nostri ricordi che altrimenti assomiglierebbero ad alberi dai rami secchi e spogli. Grazie alle emozioni, attivate a livello corticale dal sistema limbico, i ricordi riaffiorano in maniera più vivida. Le strutture più importanti del sistema limbico sono l’ippocampo e l’amigdala che sono coinvolti in un grande gioco di squadra: l’ippocampo elabora i ricordi sotto forma di tracce mnestiche e l’amigdala assegna un significato emozionale ai ricordi elaborati dall’ippocampo.

Tutto questo discorso sul legame tra emozioni e ricordi ha molto a che fare con la fotografia, al modo in cui attraverso l’emozione la fotografia impone all’osservatore di riflettere sulla bellezza, sulla realtà, sull’ingiustizia o, più in generale, su frammenti di storia umana in continua evoluzione. Le immagini fotografiche non sono altro che frammenti di vita che collocano l’individuo in un continuum temporale che parte dal passato attivandone i ricordi, danno senso al presente e rendono possibile proiettarsi nel futuro.

In ogni caso anche se la fotografia viene intesa come un atto di riproduzione, è sempre un atto di ri-creazione della realtà, la realtà di chi scatta, il suo mondo interiore e il modo in cui interpreta il mondo esterno. Si pensi al pittore Jackson Pollock la cui sola gestualità aveva un valore estetico e scenografico, indipendentemente dal compimento dell’opera. In questa accezione ri-creatrice, la fotografia può diventare un potente mezzo di esplorazione del non verbale e di narrazione di sé all’interno del processo terapeutico, una sorta di ponte tra interno ed esterno, tra conscio e inconscio. Numerosi gli esempi sul suo utilizzo terapeutico, da Rogers, promotore della corrente della psicologia umanistica, che si serviva delle fotografie come stimoli terapeutici, a Moreno, padre fondatore dello psicodramma, che le considerava punti di partenza per le sedute di gruppo, fino a Kohut, fondatore della psicologia del Sé, che le utilizzava per chiarire aspetti importanti dell’infanzia del paziente.

Al di là del suo utilizzo terapeutico, la fotografia può essere considerata la terapia ideale per tutti quei disturbi della vista di cui è affetta la società contemporanea come il guardare senza vedere, la totale assuefazione al bombardamento di immagini, l’incapacità di meravigliarsi o, peggio ancora, il non guardare affatto.

Dott.ssa Valentina Villani

Torna alla Home