Quando il lavoro diventa un’ossessione

Psicologo Psicologa Psicoterapeuta Roma Monteverde Portuense Valentina VillaniAndare sempre di corsa, essere perennemente occupati, controllare ogni attività per vedere se è stata svolta correttamente, abbandonare progressivamente famiglia e amici mancando a eventi importanti, essere irrequieti, impazienti e irritabili, non avere più tempo per la cura personale e per i divertimenti, avere la mente occupata esclusivamente da pensieri riguardanti il lavoro. Il malessere sociale che nasce dall’eccessivo tempo riservato al lavoro è stato descritto negli ultimi anni nei termini di “burnout”, di “sindrome da stress lavorativo”, ma soprattutto  di  “lavoro-dipendenza” o “work addiction”. Da uno studio finlandese per il British Medical Journal, è stato riscontrato addirittura un rischio doppio di decessi per malattie cardiovascolari in lavoratori stressati che non presentavano nessun altro fattore di rischio per tali patologie.

Nel 1990 Fassel ha individuato tre fasi nello sviluppo della dipendenza da lavoro:

Fase iniziale: La persona pensa continuamente al lavoro, fa regolarmente straordinari e si rifiuta di staccare dalla propria attività.

Fase critica: La persona comincia a mettere da parte le relazioni affettive e la sua vita sociale, inizia a esaurire le forza fisiche, sperimenta difficoltà del sonno e vuoti di memoria.

Fase cronica: Questa fase è caratterizzata da lavoro notturno, feriale, festivo. Possono anche bastare tre o cinque ore per notte, oppure si può anche resistere per giorni interi senza chiudere occhio. Inevitabilmente il rendimento del lavoro diminuisce e ha inizio la fase di vera e propria disperazione.

Come accade in tutte le dipendenze, le cause e i motivi che possono essere stati fattori scatenanti sono molteplici.

Da un punto di vista familiare sembra che la predisposizione alla dipendenza da lavoro possa venire agevolata da un modello educativo all’interno del quale si preveda che l’amore dei genitori debba venir guadagnato portando risultati e buoni rendimenti.

Sul piano lavorativo i dipendenti possono intrappolarsi nel proprio successo: dopo ogni risultato positivo aumentano la difficoltà, la dimensione del compito e la posta in gioco per soddisfare se stessi.

Dal punto di vista sociale, i workaholic cercano di evadere dal disagio relazionale, familiare e da un senso di vuoto interiore cercando sollievo nel lavoro. Il lavoro non ha più la funzione di garantire la sopravvivenza piuttosto quella di evasione dai problemi familiari ed esistenziali.

Risultano di fondamentale importanza gli interventi di prevenzione che informino dei rischi della dipendenza da lavoro. A tale scopo, molto utili gli interventi formativi rivolti ai dirigenti affinché possano riconoscere i primi segni della dipendenza da lavoro e possano creare le condizioni che impediscano l’insorgenza della patologia.

Per quanto riguarda il trattamento, molti sono i suggerimenti pratici, dall’acquisire consapevolezza delle reali fonti di stress, all’imparare a delegare, al concedersi delle pause, al dedicarsi a una attività fisica regolare, al porsi degli obiettivi a breve termine. Al di là di questo, la psicoterapia è lo strumento più utile per la risoluzione delle tensioni interne che danno origine allo stress. E’ necessario che la persona che soffre di workaholism possa, mediante una terapia individuale, colmare il vuoto che tenta di arginare con la sua dipendenza. E’ fondamentale che la persona si riappropri delle sue emozioni, riesca a sentirle e comunicarle ed è inoltre importante lavorare sulla percezione di autostima che spesso è talmente bassa da tendere all’autodistruzione.

Dott.ssa Valentina Villani

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